Ho riflettuto a lungo su come approcciare ai visitatori di questo sito e su come poter descrivere chi sono, quello che faccio.
Sono una psicologa psicoterapeuta ma credo che una persona non possa identificarsi solamente attraverso la sua professione. Ognuno di noi ha la sua personale storia da raccontare, il suo peculiare modo di lavorare e di approcciarsi a chi chiede il suo aiuto. Perché la psicoterapia è soprattutto relazione, incontro di vite e di storie, inevitabilmente crea legami e mi sembra giusto potermi far conoscere nella maniera più autentica possibile.
Mi chiamo Romina Leone, sono psicologa ma anche figlia, moglie, mamma, amica. Come tutti quanti ho avuto, affrontato, superato situazioni difficili, vicissitudini che fanno parte della vita di tutti noi. Mi definisco anche io “in cammino”.
Ho scelto di intraprendere la strada della psicologia quando ero ancora all’inizio del liceo. Quello che mi ha sempre affascinato sono le relazioni familiari e più in generale le interazioni tra gli individui. Sin da quando veniamo al mondo iniziamo ad instaurare legami di diverso tipo, sopratutto con le figure di attaccamento primarie, i nostri genitori. Di fatto non è possibile non creare relazioni nel corso della vita. E’ in esse che si forma, cambia, si modella e si rafforza la nostra personalità, la nostra identità di persone. Siamo tutti un crocevia di storie che si sfiorano, si intrecciano, vengono quotidianamente in contatto e ogni volta che questo succede ci ritroviamo a non essere più gli stessi che eravamo prima di farlo.
“Ogni persona brilla con luce propria fra tutte le altre. Non ci sono due fuochi uguali, ci sono fuochi grandi, fuochi piccoli e fuochi di ogni colore. Ci sono persone di un fuoco sereno, che non sente neanche il vento, e persone di un fuoco pazzesco, che riempie l’aria di scintille. Alcuni fuochi, fuochi sciocchi, né illuminano né bruciano, ma altri si infiammano con tanta forza che non si può guardarli senza esserne colpiti, e chi si avvicina si accende.”
L’incontro terapeutico stesso è principalmente l’incontro di due narrazioni: quella della famiglia/persona che chiede aiuto e quella del terapeuta. Quello che fa della psicoterapia un luogo di cura e sostegno è il fatto che da questo incontro possa nascere una nuova, imprevedibile e sconosciuta narrazione, data proprio dalla collaborazione e co-costruzione dei due interlocutori.
Nel descrivere il momento della terapia, un’immagine che mi ha sempre colpito e affascinato è quella della “danza” tra terapeuta e paziente. I passi forse all’inizio sono incerti ed è indubbio che ci si possa trovare bene a danzare con qualcuno e con altri meno. La cosa importante è riuscire a co-costruire le modalità con cui farlo, passi che siano agevoli ad entrambi per sentirsi a proprio agio e creare una coreografia unica e irripetibile.
Il metodo che io utilizzo nell’incontro con i pazienti è il colloquio clinico di circa 50 minuti. Quando vengo contattata – spesso già durante la prima telefonata – valuto bene che la problematica sia di mia competenza e di poter essere di aiuto rispetto alla difficoltà del mio interlocutore. Credo fermamente che due caratteristiche fondamentali di un professionista siano chiarezza e trasparenza e che sia importante inviare ad un altro specialista qualora i disagi portati non facciano parte del proprio bagaglio professionale o possa non essere possibile raggiungere i risultati sperati.
Nella maggioranza dei casi, la persona che si rivolge al terapeuta ha già compiuto un lungo viaggio di consapevolezza. Sente di avere qualcosa che disturba le sue relazioni, la quotidianità, in poche parole la possibilità di vivere serenamente il proprio presente. Spesso ha già parlato con amici, parenti e conoscenti rendendosi conto che a volte purtroppo non basta. Può aver incontrato altri professionisti, intrapreso uno o più percorsi psicoterapeutici senza risultato. Per questo credo sia fondamentale valutare bene ogni singolo caso, per poter fornire un valido aiuto alla persona che fronteggia un momento così delicato.
Ed è anche per questo motivo che io sono in continua formazione, per poter essere sempre aggiornata dal punto di vista professionale ma anche per lavorare sulle mie emozioni, per poterci essere nel migliore dei modi in ogni singola situazione.
Udite udite! Anche noi psicologi andiamo in terapia e io non sono da meno! Sono fermamente convinta che farebbe bene a tutti noi occuparci di quella che è la nostra storia e a maggior ragione per un terapeuta è importante monitorare costantemente le proprie emozioni quando ci si occupa delle difficoltà di altre persone.
Quali sono le caratteristiche che troverete entrando nel mio studio?
Sicuramente curiosità, intesa come attenzione e voglia di conoscere chi mi sta di fronte; rispetto dei modi, dei tempi e dello spazio dei pazienti. Sono solita approcciare “in punta di piedi” ed entrare delicatamente nella storia di chi ho di fronte. Nessuno è obbligato a parlare subito di cosa non va, talvolta la persona non sa nemmeno bene definire la situazione. E’ proprio qui che si esplica uno dei lavori del terapeuta: aiutare a chiarire la situazione per poterci lavorare. Anche se inevitabilmente ci potranno essere momenti delicati durante il percorso, la terapia non dev’essere una violenza. Ci sarà il tempo perché le cose emergano con naturalezza, in maniera spontanea.
Come si comporta lo psicologo all’interno di un colloquio?
Avrai di fronte una persona attiva che non da consigli ma cerca di camminarti accanto per sbrogliare la matassa. Uno dei compiti dello psicologo è quello di “fornire lenti alternative”. Un po’ come se una persona non riuscisse a vedere da lontano, a mettere a fuoco. Non perché non abbia in sé la possibilità di farlo, semplicemente manca un ausilio che possa essere di aiuto. Il terapeuta fornisce dunque nuove lenti che possano essere funzionali ad un nuovo modo di vedere la realtà e di narrare diversamente la propria storia.
La persona non ha bisogno di qualcuno che faccia le cose al posto suo ma di qualcuno che lo aiuti a diventare responsabile egli stesso del cambiamento. Molti di voi conosceranno l’antico proverbio cinese che recita: “dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai tutta la vita”. Aiutare la persona a sviluppare, stimolare e trovare le risorse che possiede dentro di sé è ben più utile che suggerire la strada e questo aumenta esponenzialmente le possibilità di resilienza e auto-efficacia dell’individuo.
Dott.ssa Romina Leone